di Antonella Brischetto*
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Cristo Pantocrator - Mosaico absidale - Duomo di Cefalù (Sicilia) scelto dalla Santa Sede quale icona per l'Anno della fede |
L’11 ottobre si darà inizio all’Anno della fede, anno di riflessione che nasce dall’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo (cf. Benedetto XVI, Porta Fidei, 1) L'Anno della fede, in questa prospettiva, è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo.
Non è la prima volta che la Chiesa è
chiamata a celebrare un Anno della fede. Paolo VI ne indisse uno simile nel 1967, per fare
memoria del martirio degli Apostoli Pietro e Paolo nel
diciannovesimo centenario della loro testimonianza suprema.
Tale evento viene
indetto dal Santo Padre in coincidenza del 50^ anniversario dell’apertura
del Concilio Vaticano II e nel
ventesimo dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Al cuore del Concilio vi è l'idea che la fede sia non un insieme di contenuti,
ma un evento di relazione fra Dio e gli uomini.
Il Popolo di Dio adunatosi la sera in preghiera in occasione dell' inaugurazione del Concilio Vaticano II |
Il Beato Giovanni XXIII,
aprendo la grande assise del Vaticano II Gaudet Mater Ecclesia (11 ottobre 1962) prospettava: «un balzo innanzi verso una penetrazione
dottrinale ed una formazione delle coscienze», e per questo - aggiungeva - «è necessario che questa dottrina certa ed
immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e
presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo». Potremmo
dire che proprio con il Concilio è iniziata la nuova evangelizzazione, che il
Beato Giovanni XXIII vedeva come una nuova Pentecoste che avrebbe fatto fiorire
la Chiesa nella sua interiore ricchezza e nel suo estendersi maternamente verso
tutti i campi dell'umana attività. Gli effetti di quella nuova Pentecoste,
nonostante le difficoltà dei tempi, si sono prolungati, raggiungendo la vita
della Chiesa in ogni sua espressione: da quella istituzionale a quella
spirituale, dalla partecipazione dei fedeli laici nella Chiesa alla fioritura
carismatica e di santità.
“Il Vaticano II ha introdotto un
nuovo paradigma dell’esistenza ecclesiale”,
come afferma il teologo G. Ruggeri in Ritrovare
il concilio (Ed. Einaudi): la
ritrovata centralità della Scrittura nella liturgia, nella celebrazione dei
sacramenti, nella catechesi e nella vita di preghiera dei singoli fedeli ha
aperto nuove strade alla corsa della Parola nella storia, verso quella “pienezza
della verità divina” cui, come dice il concilio, “la Chiesa nel corso dei
secoli tende incessantemente” (DV 8). Questa rinnovata familiarità con la Parola
di Dio contenuta nelle Scritture diviene anche criterio di discernimento nelle
vicende umane, nel quotidiano “farsi” della storia e nelle modalità della
presenza della “Chiesa nel mondo contemporaneo”. Grazie alla ricchezza dei
documenti conciliari e al fecondo dibattito che li ha originati anche i
rapporti della Chiesa con “gli altri” sono nuovamente illuminati dalla luce
purificatrice del Vangelo, siano questi altri il popolo ebraico – non più
considerato “deicida”, ma depositario di promesse non revocabili perché
provenienti da Dio – o i cristiani di altre confessioni, i quali “giustificati
nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione
insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono
giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore” (UR 3), o ancora i
credenti di altre religioni, le quali “non raramente riflettono un raggio di
quella verità che illumina tutti gli uomini” (GS 2).
Pertanto i più alti
documenti del Concilio svelano insospettate ricchezze. La Costituzione
dogmatica sulla divina Rivelazione “Dei Verbum”, ad esempio, può essere
letta come interpretazione autentica del Concilio di Trento (1545), volta a
superare la controversia fuorviante sulla “sola Scriptura”, e a
restituire la Bibbia alla Chiesa mettendo la Parola di Dio nelle mani di tutti
i fedeli, come Parola viva, non più chiusa nella morsa della sola alternativa
tra senso letterale e senso allegorico; vi sono altri sensi della Scrittura,
noti al Concilio, con cui essa può essere letta e assunta nella vita cristiana..
La “Lumen Gentium”, altro
documento promulgato dal Concilio Vaticano II, può essere inteso anche come
rilettura e integrazione del Concilio Vaticano I (1870), quando restituisce il
Papa alla Chiesa nella collegialità di pastori e fedeli, sciogliendo l’equivoco
della formula oracolare di un pontefice sovrano che parla da sé, e non per il
consenso della Chiesa (Ex sese et non ex consensu Ecclesiae); ancora,
essa può essere letta come inveramento pacificante del Tridentino quando
considera sempre dovuta la riforma, e non la controriforma della
Chiesa.
La riforma liturgica sancita
dalla Sacrosactum Cocilium può essere
vista come un rinnovato discernimento della preghiera e del culto, nella
centralità dell’eucarestia, per sgravare Dio del “carico di errate preghiere”,
come cantava padre Turoldo, e perché la Santa Messa non fosse più lo spettacolo
di “cento muti e un pazzo”, come si diceva in Sicilia, cioè lo spettacolo di un
prete che sussurrava preghiere voltando le spalle ai muti, “chiamati a vivere
la loro fede con un puro salto nell’assurdo”, come ricorda Giuseppe Ruggieri
nel suo preziosissimo libro appena uscito, “Ritornare al Concilio” (Einaudi,
2012).
La “Gaudium et Spes”
è in effetti la Costituzione pastorale di una Chiesa che intrattiene in
tutt’altro modo il rapporto col mondo del suo tempo, e che perciò può giungere
a riconciliarsi con le libertà, lo Stato e la scienza moderni che la Chiesa
tridentina e il magistero romano dell’800 avevano rifiutato per una loro
supposta contraddizione col Vangelo. Si può anche dire che la Gaudium et
Spes sviluppi Calcedonia, nel suo esito antropologico, quando dice che “con
l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo” (GS
22), sigillo, questo, di una radicale unità umana. Punta a una
reinterpretazione dell'identità cristiana e a una maniera diversa di concepire
la presenza profetica – e quindi fedele alla Tradizione – della Chiesa nella
società.
Una lezione comunque che abbiamo
ricevuto da questo Concilio è che la Tradizione non equivale alla fissazione
del passato, bensì, secondo l’etimologia (tradere è trasmettere, Tradizione
è trasmissione), è «aggiornare», secondo la formulazione di papa Giovanni, è
dire le Verità di sempre in modo adatto al giorno d’oggi.
L’Anno della fede, in questa
prospettiva, è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore,
unico Salvatore del mondo (Benedetto XVI, Porta fidei, 6), sia come singoli che
come comunità, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della
vita (cf. Benedetto XVI, omelia inizio pontificato); per ridare alla Chiesa, che,
nonostante il Concilio, sembra rimasta indietro di duecento
anni (Carlo Maria Martini), una rinnovata
giovinezza, per una presenza profetica della Chiesa nella società. “La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in
essa, come Cristo devono mettersi in cammino, verso Colui che ci dona la vita,
la vita in pienezza”.
P. Joseph Ratzinger e P: Yves Congar convocati insieme ad altri specialisti nel Concilio Vaticano II |
Diceva padre Congar – poi diventato cardinale – che un Concilio ottiene i frutti più pieni dopo cinquant’anni.
Preghiamo il Signore
che sia proprio così!
* Antonella Brischetto è stata consacrata da S. Ecc.za Mons. Pio Vittorio Vigo il 02/05/2005, presso la cattedrale di Acireale. Conclusi gli studi di ragioneria, ha frequentato l'Istituto di Scienze Religiose "S. Agostino" ed ha conseguito il diploma con un lavoro dal titolo: "Tra memoria e profezia: la pastorale sulle orme del Vaticano II". Lavora come operatore socio assistenziale presso una casa di riposo; è membro del Consiglio Pastorale diocesano e svolge vari servizi pastorali.
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