Anche
nell'ambito della Chiesa primitiva la presenza femminile è tutt'altro che
secondaria... Una più ampia documentazione sulla dignità e sul ruolo ecclesiale
della donna la troviamo in san Paolo. Egli parte dal principio fondamentale,
secondo cui per i battezzati non solo «non c'è più né giudeo né greco, né
schiavo, né libero», ma anche «né maschio, né femmina». Il motivo è che «tutti
siamo uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,28), cioè tutti accomunati nella stessa
dignità di fondo, benché ciascuno con funzioni specifiche (cfr 1 Cor 12,27-30).
L'Apostolo ammette come cosa normale che nella comunità cristiana la donna possa
«profetare» (1 Cor 11,5), cioè pronunciarsi apertamente sotto l'influsso dello
Spirito, purché ciò sia per l'edificazione della comunità e fatto in modo
dignitoso...
Abbiamo già incontrato la figura di Prisca o Priscilla, sposa di Aquila, la quale in due casi viene sorprendentemente menzionata prima del marito (cfr At 18,18; Rm 16,3): l'una e l'altro comunque sono esplicitamente qualificati da Paolo come suoi «collaboratori» (Rm 16,3)... Occorre inoltre prendere atto, ad esempio, che la breve Lettera a Filemone in realtà è indirizzata da Paolo anche a una donna di nome «Affia» (cfr Fm 2)... Nella comunità di Colossi ella doveva occupare un posto di rilievo; in ogni caso, è l'unica donna menzionata da Paolo tra i destinatari di una sua lettera. Altrove l'Apostolo menziona una certa «Febe», qualificata come diákonos della Chiesa di Cencre... (cfr Rm 16,1-2). Benché il titolo in quel tempo non abbia ancora uno specifico valore ministeriale di tipo gerarchico, esso esprime un vero e proprio esercizio di responsabilità da parte di questa donna a favore di quella comunità cristiana... Nel medesimo contesto epistolare l'Apostolo con tratti di delicatezza ricorda altri nomi di donne: una certa Maria, poi Trifena, Trifosa e Perside «carissima», oltre a Giulia (Rm 16,6.12a.12b.15)... Nella Chiesa di Filippi poi dovevano distinguersi due donne di nome «Evodia e Sìntiche» (Fil 4,2): il richiamo che Paolo fa alla concordia vicendevole lascia intendere che le due donne svolgevano una funzione importante all'interno di quella comunità. In buona sostanza, la storia del cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne.
Abbiamo già incontrato la figura di Prisca o Priscilla, sposa di Aquila, la quale in due casi viene sorprendentemente menzionata prima del marito (cfr At 18,18; Rm 16,3): l'una e l'altro comunque sono esplicitamente qualificati da Paolo come suoi «collaboratori» (Rm 16,3)... Occorre inoltre prendere atto, ad esempio, che la breve Lettera a Filemone in realtà è indirizzata da Paolo anche a una donna di nome «Affia» (cfr Fm 2)... Nella comunità di Colossi ella doveva occupare un posto di rilievo; in ogni caso, è l'unica donna menzionata da Paolo tra i destinatari di una sua lettera. Altrove l'Apostolo menziona una certa «Febe», qualificata come diákonos della Chiesa di Cencre... (cfr Rm 16,1-2). Benché il titolo in quel tempo non abbia ancora uno specifico valore ministeriale di tipo gerarchico, esso esprime un vero e proprio esercizio di responsabilità da parte di questa donna a favore di quella comunità cristiana... Nel medesimo contesto epistolare l'Apostolo con tratti di delicatezza ricorda altri nomi di donne: una certa Maria, poi Trifena, Trifosa e Perside «carissima», oltre a Giulia (Rm 16,6.12a.12b.15)... Nella Chiesa di Filippi poi dovevano distinguersi due donne di nome «Evodia e Sìntiche» (Fil 4,2): il richiamo che Paolo fa alla concordia vicendevole lascia intendere che le due donne svolgevano una funzione importante all'interno di quella comunità. In buona sostanza, la storia del cristianesimo avrebbe avuto uno sviluppo ben diverso se non ci fosse stato il generoso apporto di molte donne.
Benedetto
XVI, papa
Udienza generale, 14 febbraio 2007
Udienza generale, 14 febbraio 2007
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